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LA PITTURA COME FILTRO ESISTENZIALE
Archeologie del profondo nelle tele di gualandi

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Gualandi ama far danzare il pennello. Mi piace definire così il suo modo di creare, di stendere il colore sulla tela, di dialogare con se stesso. 
Sì, perché l'artista in ogni suo gesto ricerca se stesso. Una danza di colori, di pennellate, di gestualità. Tutto votato all'armonia. Come in una classica partitura musicale. Delicatezza e veemenza, docilità e aggressività, dolcezza e acredine si fondono simbioticamente, divenendo una cosa sola.Gualandi alla fine sceglie la pittura per dar forma e vita alla sua poetica, lasciandosi alle spalle altre esperienze che forse non sentiva profondamente sue. A volte è necessario tornare indietro per fare passi in avanti, rivisitando i mezzi della tradizione riscoprendoli come capaci di offrire rinnovata energia. Ed è nell'energia dei pennelli, delle spatole, nei grumi del colore e nella gestualità del proprio interagire, che l'artista a un certo punto della sua vita, ha con forza deciso che là, era la sua strada. L'amore è rivolto agli storici informali, a quelli che hanno fatto grande la scuola degli anni Cinquanta, inutile ricordare qui tutti i nomi, ma doveroso citare Afro e Fontana le cui ricerche sono sentite in modo particolare dall'artista. Impossibile non porre un confronto tra le sue opere e quelle dell'Informale ma è altresì impossibile non definire la sua distanza dalla poetica che caratterizzò gli anni post bellici. L'operatività di Gualandi si affaccia a quella sensibilità ma, inevitabilmente, essendo figlio del proprio tempo, se ne distacca totalmente, svuotandosi di ogni riferimento ideologico o assetto che è stato peculiare di quella generazione passata. Non è la guerra, non è il conflitto bellico a torturare la mano dell'artista e a farla sciabolare sulla tela per dar voce a delle insorgenze emotive impossibili da contenere. Quella di Gualandi è una ricerca che si compie all'interno di se stesso, nel tentativo di far affiorare ed affrontare a mani nude quel genere di conflitti che appartengono alla natura umana. Certo, in questo dialoga con i padri informali, poiché la sua è a tutti gli effetti una ricerca esistenziale.
"La pittura è un tramite, è l'occhio attraverso il quale osservo me stesso". Queste le parole dell'artista. Creatività, introspezione, ripiegamento. Il pittore si lascia trasportare e travolgere da quella parte di se stesso capace di guidarlo in una direzione che lo porta a percorrere a ritroso i livelli del proprio pensiero. Sempre più giù. Per affondare e rinascere, affogare per poi rivivere, ininterrottamente, ad ogni colpo di pennello. Un'altalena di sensazioni vergini e spontanee dialogano con la parte ludica dell'artista, fondamentale nella sua pittura. Nel silenzio del proprio studio, in quell'angolo di mondo appartato, egli vive un tempo di raccoglimento interiore, quasi una pratica Zen. Gualandi mi parla del suo ultimo ciclo pittorico. "Archeological body". Che cosa intende l'artista per "corpo archeologico"? Una sorta di reperto dell'anima che chiede a gran voce di vedere la luce, di risorgere dalle proprie viscere emotive. Si tratta dunque di uno scavo introspettivo, la via per percorrere a ritroso le dimensioni in se stesso sino a giungere a quel reperto psichico, a quel ritrovamento della mente che, facendosi spazio, affiora trovando sulla tela liberazione. Finalmente. Esplosione quindi. Di colore, ma non solo. Cromie e geometrie. Chiamiamole pure architetture ma di natura tutt'altro che rigida, le cui colonne portanti, costantemente precarie, vivono tra la luce e le tenebre, in quel rigenerante conflitto che è la lotta quotidiana dell'artista stesso. Ecco dunque la danza, che altro non è che il far librare questo corpo-mente nello spazio della tela, al di fuori di resistenze coscienti, scoprendosi come primaria energia necessaria ad emergere. Privo di significati precostituiti, il "corpo archeologico" è vergine nella sua purezza. Nudo. Una volta portato allo scoperto, si offre agli occhi e alla sensibilità dell'osservatore, stabilendo un sottile dialogo, una tacita sintonizzazione.
Sono affioramenti, emersioni che nascono in uno spazio votato all'equilibrio e alla struttura, alla spasmodica ricerca di quell'armonia che il pittore persegue in ogni sua opera. Tocchi minuti, in punta di pennello, convivono con il fragore di pennellate che colpiscono con forza la tela. Accenni di dripping, storica tecnica pollockiana, compaiono a fianco di delicatissime velature, dimostrando maestria nel giocare con i piani e con le profondità. Pittura ma anche tecnica mista, quale l'ausilio di carte da giornale, spessori ottenuti mediante sabbie, colle e altro ancora. Protagonista il connubio tra luce e ombra, che si rincorrono cercando invano di predominare l'una sull'altra. Dualismo dunque, che svela logoranti contrasti tuttavia spazialmente risolti in composizioni all'insegna di armonie, proporzioni, accordi. In una parola: euritmia. Sono archeologie apparentemente rassicuranti le sue, culle che accolgono inquiete presenze. La scelta del colore, che in passato è stata spesso monocromatica, con le ultime opere si pone in direzione di una maggior intensità coloristica. Gli aranci dialogano ora con gli ocra e con i grigi, mentre rimane persistente la presenza dei neri che con le loro profondità incombono bucando la tela. Luce e ombra. Oscurità e luminosità.Sì, c'è angoscia nelle tele di Gualandi. Ma non solo. C'è anche luce, respiro, aria.  Baratri su orizzonti luminosi. E funambolici equilibri.

                                                                                                                                                                                             Sabrina Tabarelli

Recensioni: Testo

LA PITTURA COME FILTRO ESISTENZIALE


Archeologie del profondo nelle tele di Gualandi  

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Gualandi ama far danzare il pennello. Mi piace definire così il suo modo di creare, di stendere il colore sulla tela, di dialogare con se stesso. 
Sì, perché l'artista in ogni suo gesto ricerca se stesso. Una danza di colori, di pennellate, di gestualità. Tutto votato all'armonia. Come in una classica partitura musicale. Delicatezza e veemenza, docilità e aggressività, dolcezza e acredine si fondono simbioticamente, divenendo una cosa sola.Gualandi alla fine sceglie la pittura per dar forma e vita alla sua poetica, lasciandosi alle spalle altre esperienze che forse non sentiva profondamente sue. A volte è necessario tornare indietro per fare passi in avanti, rivisitando i mezzi della tradizione riscoprendoli come capaci di offrire rinnovata energia. Ed è nell'energia dei pennelli, delle spatole, nei grumi del colore e nella gestualità del proprio interagire, che l'artista a un certo punto della sua vita, ha con forza deciso che là, era la sua strada. L'amore è rivolto agli storici informali, a quelli che hanno fatto grande la scuola degli anni Cinquanta, inutile ricordare qui tutti i nomi, ma doveroso citare Afro e Fontana le cui ricerche sono sentite in modo particolare dall'artista. Impossibile non porre un confronto tra le sue opere e quelle dell'Informale ma è altresì impossibile non definire la sua distanza dalla poetica che caratterizzò gli anni post bellici. L'operatività di Gualandi si affaccia a quella sensibilità ma, inevitabilmente, essendo figlio del proprio tempo, se ne distacca totalmente, svuotandosi di ogni riferimento ideologico o assetto che è stato peculiare di quella generazione passata. Non è la guerra, non è il conflitto bellico a torturare la mano dell'artista e a farla sciabolare sulla tela per dar voce a delle insorgenze emotive impossibili da contenere. Quella di Gualandi è una ricerca che si compie all'interno di se stesso, nel tentativo di far affiorare ed affrontare a mani nude quel genere di conflitti che appartengono alla natura umana. Certo, in questo dialoga con i padri informali, poiché la sua è a tutti gli effetti una ricerca esistenziale.
"La pittura è un tramite, è l'occhio attraverso il quale osservo me stesso". Queste le parole dell'artista. Creatività, introspezione, ripiegamento. Il pittore si lascia trasportare e travolgere da quella parte di se stesso capace di guidarlo in una direzione che lo porta a percorrere a ritroso i livelli del proprio pensiero. Sempre più giù. Per affondare e rinascere, affogare per poi rivivere, ininterrottamente, ad ogni colpo di pennello. Un'altalena di sensazioni vergini e spontanee dialogano con la parte ludica dell'artista, fondamentale nella sua pittura. Nel silenzio del proprio studio, in quell'angolo di mondo appartato, egli vive un tempo di raccoglimento interiore, quasi una pratica Zen. Gualandi mi parla del suo ultimo ciclo pittorico. "Archeological body". Che cosa intende l'artista per "corpo archeologico"? Una sorta di reperto dell'anima che chiede a gran voce di vedere la luce, di risorgere dalle proprie viscere emotive. Si tratta dunque di uno scavo introspettivo, la via per percorrere a ritroso le dimensioni in se stesso sino a giungere a quel reperto psichico, a quel ritrovamento della mente che, facendosi spazio, affiora trovando sulla tela liberazione. Finalmente. Esplosione quindi. Di colore, ma non solo. Cromie e geometrie. Chiamiamole pure architetture ma di natura tutt'altro che rigida, le cui colonne portanti, costantemente precarie, vivono tra la luce e le tenebre, in quel rigenerante conflitto che è la lotta quotidiana dell'artista stesso. Ecco dunque la danza, che altro non è che il far librare questo corpo-mente nello spazio della tela, al di fuori di resistenze coscienti, scoprendosi come primaria energia necessaria ad emergere. Privo di significati precostituiti, il "corpo archeologico" è vergine nella sua purezza. Nudo. Una volta portato allo scoperto, si offre agli occhi e alla sensibilità dell'osservatore, stabilendo un sottile dialogo, una tacita sintonizzazione.
Sono affioramenti, emersioni che nascono in uno spazio votato all'equilibrio e alla struttura, alla spasmodica ricerca di quell'armonia che il pittore persegue in ogni sua opera. Tocchi minuti, in punta di pennello, convivono con il fragore di pennellate che colpiscono con forza la tela. Accenni di dripping, storica tecnica pollockiana, compaiono a fianco di delicatissime velature, dimostrando maestria nel giocare con i piani e con le profondità. Pittura ma anche tecnica mista, quale l'ausilio di carte da giornale, spessori ottenuti mediante sabbie, colle e altro ancora. Protagonista il connubio tra luce e ombra, che si rincorrono cercando invano di predominare l'una sull'altra. Dualismo dunque, che svela logoranti contrasti tuttavia spazialmente risolti in composizioni all'insegna di armonie, proporzioni, accordi. In una parola: euritmia. Sono archeologie apparentemente rassicuranti le sue, culle che accolgono inquiete presenze. La scelta del colore, che in passato è stata spesso monocromatica, con le ultime opere si pone in direzione di una maggior intensità coloristica. Gli aranci dialogano ora con gli ocra e con i grigi, mentre rimane persistente la presenza dei neri che con le loro profondità incombono bucando la tela. Luce e ombra. Oscurità e luminosità.Sì, c'è angoscia nelle tele di Gualandi. Ma non solo. C'è anche luce, respiro, aria.  Baratri su orizzonti luminosi. E funambolici equilibri.

                                                                                                                                                                                             Sabrina Tabarelli

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